I Boeri: un Popolo in lotta da sempre

Una striscia bianca corre per le terre del Sudafrica come una normale strada e collega Potgietersrus e Pietersburg. Una volta giunti alla collina di Ysterberg ed ai suoi piedi, sopra di essa e lungo ambo i lati della strada, si trova un agglomerato di circa quattromila croci bianche. Per chi sono?

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Il primo boero, non ancora tale, che mise piede in Sudafrica arrivò nel continente nel 1652 quando la Compagnia olandese delle Indie orientali volle fondare sul capo di Buona Speranza uno scalo commerciale sulla rotta verso l’India e l’Indonesia. Un forte fu costruito insieme a degli orti e la posizione fu chiamata Città del Capo. Poi vennero concessi ai pochi coloni olandesi degli appezzamenti di terreno e da quel momento i Boeri si legarono all’attività agreste, soprattutto per quanto riguarda l’allevamento del bestiame, che continuano a coltivare fino ai tempi moderni. I progressi erano pochi e la colonia cresceva lentamente, tuttavia Città del Capo aveva comunque attirato a sé Tedeschi, Scandinavi, ovviamente famiglie olandesi e ugonotti francesi scappati da una Francia straziata dalle guerre di religione; inoltre nella colonia la Compagnia trasferì, per velocizzare lo sviluppo del territorio, gruppi di schiavi da altri suoi possedimenti, abituando così i Boeri alla schiavitù, di cui sarebbero stati grandi sostenitori. I coloni di Città del Capo non erano uomini liberi e nemmeno soggetti al governo diretto delle Province Unite ma al volere della Compagnia. Erano effettivamente come servi, dato che anche per coloro a cui la Compagnia donava lo stato di liberi borghesi era obbligatorio il ritorno al suo servizio ogniqualvolta la Compagnia desiderasse. Dunque i coloni potevano tornare servi per un capriccio di ufficiali o del governatore. Perciò molti Boeri decisero di lasciare la città e di avventurarsi come contadini e pastori semi-nomadi per le terre del Sudafrica, creando una situazione in cui la Compagnia cercava di riportare sotto il suo controllo i coloni dispersi e questi che continuavano ad allontanarsi, costretti però in un determinato territorio a causa delle tribù indigene che non permettevano un passaggio oltre.

Durante le guerre napoleoniche la colonia del capo passò in mani inglesi dato che la Repubblica Batava, stato satellite dell’impero francese, aveva combattuto a fianco di Napoleone durante le varie guerre di coalizione. Durante il dominio inglese della colonia iniziarono i primi conflitti, su piccola scala, tra coloni ed indigeni e nacque anche quella duratura ostilità che i Boeri nutriranno per almeno un secolo verso i nuovi coloni inglesi e gli inglesi in generale. Così, costretti di nuovo a sopportare un governo tirannico, reso ancora più odiato da fatto di essere straniero, che aveva proibito l’uso della lingua olandese, liberato gli schiavi presenti nella colonia e aveva imposto la chiesa anglicana sul territorio, molti Boeri decisero di ripetere ciò che era stato fatto decenni prima dai loro predecessori in piccoli gruppi, tuttavia ora osando di portare l’azione ad un livello di migrazione di popolo, nella speranza di creare un proprio stato indipendente.

Nel 1835 inizia quindi il “Great trek” e fino all’inizio degli anni ’40 dell’ottocento tra i 12.000 e i 14.000 Boeri, riuniti in gruppi organizzati, si avventurarono oltre il fiume Orange, l’allora confine della colonia del Capo. I Boeri entrarono così in territorio sconosciuto e potenzialmente nemico e presto infatti nacquero conflitti, spesso dopo massacri ai danni dei Boeri, tra i gruppi di “Voortrekker” ed indigeni come Metekeli e Zulu. Fu proprio contro questi che si svolse la battaglia più sacra per i Boeri. Quando nell’ottobre 1837 il gruppo comandato da Pieter Retief giunse presso il re Zulu Dingane, nella regione del Natal, per trattare un insediamento dei coloni nelle sue terre, il re ordinò l’uccisione di Pieter e dei compagni della legazione per sospetto nei loro confronti. Subito dopo il re inviò un esercito di 7.000 Zulu fu spedito verso i provvisori accampamenti e gli fu ordinato di distruggerli ed ucciderne la popolazione all’interno. Vittime del massacro furono 282 Voortrekker, senza distinzioni per donne e bambini. Il resto del gruppo rimanente partito per il Natal tentò una vendetta, che tuttavia si risolse in una sconfitta. Ma il desiderio di vendetta rimase e l’anno successivo, il 16 dicembre 1838, radunati ed organizzati meglio sotto il comando di Andries Pretorius, 468 Boeri affrontano un esercito di 10.000 Zulu. Agli assalti degli indigeni, armati ancora di lance e scudi, i Trekker risposero con fucili e con quei pochi cannoni che avevano a disposizione, riparati dai carri con cui vagavano per le terre sudafricane. Al termine degli scontri tremila Zulu giacevano morti al suolo, mentre gli invasori contavano tre feriti. Secondo la tradizione i Boeri avrebbero vinto grazie ad un voto pronunciato verso Dio, secondo il quale, se vittoriosi, essi ed i loro discendenti avrebbero considerata sacra la giornata alla stregua della domenica; così ancora festeggiano i discendenti il 16 dicembre sotto il nome di “giorno del giuramento”.

Comunque stiano andati i fatti, all’indomani della battaglia viene rovesciato re Dingane ed il successore viene a patti con i vincitori e permette loro di stabilirsi nella regione; viene così proclamata la repubblica di Natalia. Tuttavia nel 1843 la repubblica viene conquistata dalle truppe britanniche ed annessa all’impero britannico. I Boeri si dirigono quindi a nord verso il Transvaal ed ivi le varie repubbliche che vi fondano si agglomerano nelle due più grandi: la Repubblica dello stato libero dell’Orange e la Repubblica del Transvaal. A quest’ultime non spettò la stessa sorte della prima ed i due stati riuscirono a mantenere la loro indipendenza, finalmente iniziando un processo di sedentarizzazione e di sviluppo culturale e civile. Vennero fondate città, università e parlamenti. Tra questi il principale testimone dello sviluppo dei Boeri è la città di Pretoria, in onore dell’eroe della battaglia di Red River, che ancora oggi riveste il ruolo di una delle capitali del Sudafrica.

Il sogno del “Volkstaat”, ovvero l’etno-stato dei Boeri, sembrò realizzato fino a quando nel 1868 venne trovato entro i confini e tra i confini dei due stati un grande giacimento di diamanti per il quale gli Inglesi iniziano a mirare con brama quei due stati che avevano finora tralasciato. Così il Regno Unito, quando entrò anch’esso in conflitto con gli Zulu nel 1879, utilizzò il pretesto di difendere la repubblica per occupare il Transvaal, che nel frattempo aveva visto un cospicuo aumento di popolazione dovuto all’attrattiva che il territorio ora vantava. Al rifiuto di ritirare le truppe i Boeri risposero dichiarandosi indipendenti e assediando le guarnigioni britanniche.

Cominciò così la prima guerra boera ed eserciti che non superavano il migliaio di uomini, sarà infatti la seconda guerra boera che conterà i più atroci massacri, si scontrarono per le pianure del Transvaal; sorprendentemente i Boeri escono vittoriosi da ogni scontro e dopo appena quattro mesi dall’inizio delle ostilità la Gran Bretagna acconsente a garantire l’indipendenza dello stato. Tuttavia, fortunatamente e sfortunatamente allo stesso momento, i ritrovamenti di giacimenti d’oro e diamanti continuarono. Per peggiorare la situazione, negli anni di pace dopo il primo scontro, Cecil Rhodes era asceso a governatore della colonia del Capo. Cecil Rhodes, destinato a dare il nome allo stato del Rhodesia collocato proprio a nord del Transvaal e protagonista di un’altra storia di tenace resistenza etnica, era famigerato per la politica imperialista sulla quale voleva improntare la strategia coloniale inglese. Famosa infatti divenne l’ironica affermazione di voler aggregare all’impero britannico anche gli altri pianeti della galassia.

Sotto questa politica era inevitabile un tentativo di soppressione del Transvaal e dello stato libero dell’Orange. Nel 1899 dal clima di tensione crescente scoppiò il secondo conflitto (già si erano si erano verificati tentativi di colpi di stato), la seconda guerra boera poco prima citata. Ora gli eventi bellici presero la forma di una guerra a tutti gli effetti ed i Boeri, sebbene dopo una strenua difesa, furono soverchiati dalla forza inglese e capitolarono nel 1902. Tanto resiste lo spirito boero che l’invasore fu costretto a stroncare ogni resistenza colpendo anche la popolazione civile, fino alla costruzione di campi di concentramento per l’internamento della popolazione: è stimato un numero di vittime civili pari a circa 27.000 individui. I due stati vennero annessi alla colonia del capo ed i Boeri non ebbero più da questo momento in avanti nessun “Volkstaat”. Tuttavia, nonostante una fallimentare rivolta supportata dall’impero tedesco ed il sostegno di molti boeri per posizioni filo nazional-socialiste allo scoppio della seconda guerra mondiale, quest’ultimi e Inglesi riuscirono a convivere con una certa armonia governando insieme l’Unione sudafricana, che il governo di Edoardo VIIaveva reso un Dominion, ovvero un membro semi indipendente del British Empire. È proprio il partito boero Nasionale party a dare inizio alla stagione dell’apartheid; e da qui in avanti è nota la storia.

Le quattromila croci, che si ergono sulla collina di Ysterberg a volte come agglomerati senza forma, a volte sui cigli della strada oppure a formare una più grande croce, rappresentano e commemorano gli oltre quattromila boeri uccisi negli ultimi 19 anni. Sono vittime di una violenza feroce che sembra più una sadistica vendetta per gli eventi passati. Dalla fine dell’apartheid i Boeri hanno completamente perduto qualsiasi potere politico, tuttavia rimangono loro gli appezzamenti di terreno e le masse di armenti ereditati dai padri. E la rabbia nasce facilmente verso coloro che sono ritenuti i padroni, soprattutto in un paese in cui le condizioni economiche dei neri sono drasticamente scese dalla fine dell’apartheid. I bianchi continuano a possedere una vastissima porzione dei terreni ed essi temono che proprio come il vicino settentrionale un governo comunista espropri loro gli ereditati possedimenti. I Boeri chiamano proprio comunisti Mandela ed i suoi “figli” e dichiarano l’attuazione da parte di costoro un genocidio dei bianchi sudafricani. Sono molti i politici che chiedono la confisca non retribuita di tutti i terreni e i boeri sono bersagli di violenze ricordate proprio dalle croci. La maggior parte delle croci rappresentano attacchi ai poderi da parte di gruppi di due o più individui, i quali forzano le difese e all’interno compiono i crimini più brutali, i quali fortunatamente la maggior parte delle volte non contano vittime. Gli sventurati spesso sono anziani. Le sevizie che vengono inflitte in questi assalti sono molteplici: stupri, pestaggi, pugnalate, sfregi, se va bene e se va male si ritrovano corpi uccisi a ripetuti colpi da armi da fuoco così come di pugnale, corpi smembrati, legati e sviscerati, legati e picchiati a morte, decapitati, corpi strangolati e corpi bruciati, mariti sono costretti ad osservare lo stupro della moglie e la moglie la tortura del marito. E questo per quanto riguarda i Boeri in quanto persone, ma essi sono vittime anche di avvelenamenti del bestiame e di roghi dei propri campi accesi dai neri. Inoltre non sono pochi gli atti dispregiativi verso i Boeri e i loro morti che la popolazione nera mostra nei loro confronti.

A tutto ciò nelle paure dei boeri si aggiungono anche le azioni dei partiti politici neri, in particolare l’E.F.F., un partito di stampo marxista. I Boeri temono proprio ciò che è stato sopra ricordato, ovvero la confisca e l’espulsione della popolazione bianca da parte Mugabe in Rhodesia. I membri del partito, tra l’altro, spesso sono stati sentiti cantare la canzone “uccidi il Boero” (Dubul ibhunu) ed il loro leader Malema continua a preoccupare con le sue dichiarazioni troppo ambigue riguardo la situazione. Inoltre non è da scordare che per il Sudafrica è molto in voga il grido “un colono un proiettile” (one settler one bullet).

Dunque i Boeri stanno cercando di reagire alla situazione nei modi più adatti e, oltre alle protezioni menzionate, che includono anche pattuglie di volontari, tentano di riunirsi in partiti che possano giovare al loro popolo, sebbene la ridotta proporzione della cittadinanza che rappresentano li rendano non completamente funzionali. Ma soprattutto nascono comunità, anzi veri e propri villaggi e città, quasi completamente indipendenti per quanto riguarda risorse come cibo, elettricità ed acqua. In queste isole, afrikaaner ed altamente calviniste, i Boeri mantengono viva la loro cultura e la loro lingua. In queste piccole città la popolazione cresce velocemente, così come la piccola industria di cui sono capaci, e l’agricoltura. Una città come quella di Kleinfontein riesce ad essere completamente autosufficiente per quanto riguarda cibo ed acqua e città come quella di Orania può permettersi si stampare moneta e di attrezzarsi di piscine pubbliche. In ognuna delle comunità si culla ancora il sogno idilliaco di quello tanto sperato “Volkstaat” che mai i Boeri riuscirono pienamente ad instaurare, ma che ancora pervade quel popolo che in fin dei conti non ha mai smesso di essere una nazione libera, guerriera e religiosa.

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