DON CHISCIOTTE: IL FOLLE PIÙ LUCIDO DELLA STORIA

Il nostro tempo è pieno di eroi che vincono sempre. Il Novecento, con tutti i suoi alti e i suoi bassi, ha portato via via i giovani e i meno giovani a pensare che l’eroe ideale sia quello che cade sempre in piedi, che spesso mente anche se per una giusta causa, ribaltando le proprie idee, pronto a vendersi e a mentire (anche per una giusta causa) per rimanere dov’è e che alla fine la spunta sempre. Negli ultimi trent’anni in Italia abbiamo avuto una sequenza ininterrotta di questi individui, al potere malgrado tutto, che hanno rinnegato ogni ideale, ogni speranza, ogni grande progetto pur di mantenere salda la propria presa sulla poltrona. Non sono questi gli eroi della verità, conquistata e protetta come un valore assoluto, ma sono eroi della compromissione, della mediazione a tutti i costi.

Don Chisciotte è invece l’archetipo di quell’eroe che spesso cade, che ruzzola in continuazione, che si ribalta, ma che poi si rialza ogni volta. È anche in questo la sua irriducibilità, in questo suo battersi per la verità e per la soluzione dei problemi malgrado tutte le avversità sul cammino. In questo senso, anche oggi, Don Chisciotte deve avere un altissimo valore simbolico e allegorico: il segno che cadere non significa perdere.

Ma per comprendere efficacemente questo personaggio, bisogna prima comprendere efficacemente l’autore.

Miguel de Cervantes Saavedra, nato nel 1547 e morto 1616, era un uomo del suo tempo. Ha combattuto a Lepanto, ha visto il mondo, è stato imprigionato in Africa, ha visto la sua amata Spagna iniziare a sfasciarsi sotto il suo stesso peso, la nuova relazione tra vecchio e nuovo mondo, e anche l’inizio di una pesante inquisizione culminata nel 1618 con lo scoppio della Guerra dei 30 anni. Senza dilungarsi troppo in una pesante e inutile biografia, gli anni in cui Miguel visse furono gli stessi durante i quali Shakespeare raccontò di personaggi come Amleto e Macbeth (rappresentando ovviamente altri aspetti rispetto a quelli messi in luce da Cervantes),ma entrambi riuscirono, in un modo o nell’altro, a portare alla luce l’ansia collettiva per qualcosa che oggi potremmo definire come il rapporto tra la follia della normalità e la normalità della follia. Incastrato in questo confuso contesto, il Don Chisciotte di Cervantes rappresenta un’età di crisi dei saperi, un’epoca di grande trasformazione a livello sociale, politico ed economico. A livello letterario era inoltre la pietra tombale che seppelliva la tradizione dei romanzi di cavalleria in cui il cavaliere cercava il senso del mondo. Insomma, Don Chisciotte (un personaggio così reale che definirlo “inventato” sa quasi di blasfemia) si trova perduto in un mondo in cui il senso non si trova più, in cui è avvenuto un definitivo strappo tra la realtà rappresentata e quella autentica. In questo senso sia Cervantes che Shakespeare hanno saputo elencare e descrivere i segni della crisi, offrendo a questa un’espressione artistica così alta e geniale che sembra siano stati loro ad averle dato il via. E forse sotto un certo punto di vista è così, perché dopo la morte di un genio le cose non sono più come erano prima. Con Don Chisciotte finisce un’epoca della letteratura, l’età della cavalleria errante, il tempo degli Ariosto, dei Tasso, dei cavalieri-eroi in cerca della verità. Don Chisciotte è invece l’archetipo del sognatore, una persona che per rincorrere un sogno folle decide di sfidare il mondo intero e le sue leggi, le sue regole e i suoi ordinamenti trascendendo quasi la realtà e scambiando dei mulini a vento per giganti, affrontandoli per giunta in un furioso duello. Ma non si da mai per vinto, è un idealista testardo tanto che Guccini lo definisce come un “cavalier senza paura di una solitaria guerra”, Michel Foucault nel suo libro Le parole e le cose, scrive che “Don Chisciotte traccia il negativo del mondo del Rinascimento; la scrittura ha cessato di essere la prosa del mondo; le somiglianze e i segni hanno sciolto la loro antica intesa”. Don Chisciotte in realtà non è pazzo, è ritenuto pazzo da un mondo che non lo capisce perché non capisce il senso della sua ricerca. Lui vuole diventare pazzo, lo dice espressamente al fedele Sancho in un passaggio che riassume l’itera sua commovente filosofia: “Devo imitare il valoroso Don Orlando. E poiché Orlando è impazzito, io diventando pazzo diverrò un vero cavaliere”. Don Chisciotte perde il senno perché ha letto troppi libri, ormai il mondo in cui vive gli è diventato stretto, e l’unico modo per vivere è rivoltarlo. E resosi conto di non poter rivoltare il mondo, decide di rivoltare se stesso. E’ un personaggio che come il suo autore continua a cercare somiglianze tra parole e cose, senza rendersi conto che queste somiglianze non hanno più spazio nella sua civiltà. Per questo in un mondo come il nostro, che non riconosce più dei valori ideali, permanenti e irriducibili, è necessario un personaggio che sia sempre pronto a mediare e a compromettersi. Don Chisciotte può affascinare qualcuno, anche se purtroppo, per i canoni del mondo in cui viviamo, non può che essere definito un pazzo. Ed è anche per questo che il Don Chisciotte di Cervantes è il primo grande romanzo moderno in prosa, e così viene colto immediatamente dai suoi contemporanei: perché è riuscito a raccogliere la folle crisi di un’età e a rappresentarla in maniera efficace e verosimile. Ma la vera modernità del romanzo, che lo rende un capolavoro attualissimo, non sta nel modo in cui vengono trattati i temi dall’autore spagnolo, bensì nei temi stessi, in particolare nell’etica di Don Chisciotte.

Il vero nocciolo della questione infatti sta proprio nella sua etica, attorno alla quale si costruisce una estetica. E da questo punto si apre il più grande problema del libero (e liberale) mondo occidentale: una politica che non ha più l’etica come momento di fondazione. Don Chisciotte è l’eroe di una sua personalissima etica chiara fin dalla prima pagina: raddrizzare il mondo e vendicare i torti e le offese. Ai nostri giorni chiamiamo folle e donchisciottesco qualcuno che si assume l’incarico di raddrizzare da solo i mali del mondo. Ma da soli non si può, la storia ce l’ha insegnato fin troppo bene con Martin Luther King, Ghandi, Kennedy e a loro modo anche Hitler e Mussolini nelle loro visioni di potere. Ma ognuno, nell’etica individuale della responsabilità, deve saper assumersi le proprie responsabilità con forza incrollabile, e lo deve fare rapportandosi con gli altri e con il mondo. E questo fa Don Chisciotte.

Ed è questo che è stato fatto, ad esempio, in Italia nel secondo dopoguerra: la situazione era disperata, ma la classe politica di allora, figlia del fascismo e della guerra che il fascismo aveva abbattuto, con le maniche della camicia rimboccate decise di ricominciare da zero, assumendosi tutte le responsabilità del caso e seguendo un’etica ferrea, che ha portato alla nascita di una nuova Costituzione e ad un boom economico di portata mai vista. Ma la memoria dell’uomo è sempre stata troppo breve, e con i moti studenteschi del ‘68, con i confusi anni ‘70 e con i primi tentativi di globalizzazione e appiattimento delle identità, quell’etica della responsabilità si è persa. E purtroppo sappiamo ora il mondo come sta andando. È un mondo occidentale ricco, pieno di capitali, ma con ben pochi di quei valori ancestrali di condivisione che hanno permesso all’uomo di diventare quello che è ora. In questa drammatica situazione, un ritorno a quei principi di valore e all’etica di Don Chisciotte sarebbe un dovere. Continuare ad affidarsi a modi di vivere senza ideali ma ideologizzati, piegarsi alla cancel culture, al grigio globalismo multiculturale, al capitalismo, al libero mercato che ci stanno portando verso una guerra continua dissimulata come pace, alla morte e alla sopraffazione è solo un altro modo per definire il grande suicidio collettivo iniziato 50 anni fa. La ragione per cui Don Chisciotte resta più di un Amleto, di un Otello o di altri personaggi Shakespeariani è proprio questo: perché costituisce un progetto utopico. E se è vero che non si vive di sole utopie, è anche vero che non si può vivere neppure senza. Abbiamo bisogno di valori condivisi, di parole come comunità, condivisione, collegamento. Riscattare il Don Chisciotte dimenticato nei più profondi recessi della nostra società, significa tornare a credere in valori condivisi comuni, non semplicemente contrattare un interesse privato, individuale, come purtroppo la “politica” attuale ci sta proponendo.

In un mondo che stava cambiano radicalmente, dove il sotto era sopra e l’est era ad ovest, fu il portare la condivisione nel mondo, portare dei valori alti e persuadere il prossimo a condividerli per riformare una nuova comunità, questa fu la battaglia, ancora attuale, dell’irriducibile Alonso Quijana, Don Chisciotte de la Mancha.

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