Economia di governo o economia al governo? Per il primato della Politica.

Primo maggio ti vo cercando. A dare una scorsa ai giornali, alle varie emittenti e agli opinionisti, la festa (classista) dei lavoratori perde qualunque aspetto inerente alla celebrazione della dignità del lavoro e verte sul lavoro esclusivamente in quanto pretesto per analizzare la situazione economica. I termini delle analisi sono favorevoli o sfavorevoli, ma tutti sono caratterizzati dall’assunto che le scelte pubbliche vadano rapportate esclusivamente alla congiuntura economica.

Primato della Politica

Tale atteggiamento ha radici profonde, che si cercherà di analizzare, e radici più recenti, che verranno illustrate.

Dopo l’inaspettata crisi economica del 2008 e la recensione che ha colpito soprattutto i paesi del sud Europa, innescando la crisi del debito sovrano, abbiamo assistito sempre di più alle sollecitazioni che le istituzioni finanziarie, nazionali ed Europee, hanno esercitato nei confronti dei vari governi dei paesi, volgarmente definiti P.I.I.G.S. (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna). Un esempio plastico furono le consultazioni a seguito della crisi di governo dell’ormai lontano 2011.

Più in generale, L’organismo di controllo chiamato Troika, costituito dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea, è intervenuto varie volte presso alcuni paesi europei  in difficoltà economica, fornendo assistenza finanziaria in cambio di politiche di austerità.

Particolare a suo modo, è il caso dell’Italia. Infatti, a fare scandalo fu una lettera ricevuta dall’allora Governo Berlusconi IV da parte della BCE. Le riforme economiche, promosse dal governo di quel periodo, furono giudicate come “non strutturate” e inefficaci, accrescendo la sfiducia dei mercati nei confronti del “Bel Paese”. Il Governo italiano fu costretto ad aumentare i tassi di interesse sui titoli pubblici per renderli più appetibili agli investitori. Nell’estate del 2011 tuttavia lo Spread raggiunse e superò quota 300: la BCE decise di intervenire. Passati molti anni tuttavia si discute ancora sulle modalità di intervento e sui risultati che la BCE ottenne.

I mercati “sfiduciarono” completamente il governo Italiano e il Presidente della Repubblica, vedendo le circostanze rischiose per l’Italia, accettò e spinse per formare un governo di “impegno nazionale” retto da Mario Monti: noto economista, ritenuto in grado di conquistare la fiducia dei mercati e placare quindi la tempesta finanziaria.

Sicuramente, viste le circostanze, il parlamento ed il Presidente della Repubblica per tutelare gli interessi del paese si videro costretti ad adottare misure straordinarie.
Tuttavia sorgono spontanee le seguenti domande:
Il popolo italiano avrebbe legittimato il governo Monti?
Se la borsa, l’economia e la finanza hanno effettivamente un influenza così vasta rispetto al nostro ordinamento, è da ritenere legittimo un tale potere economico in grado di competere con quello politico?

Riguardo la prima domanda si entra nel merito di una questione a lungo dibattuta sia allora che a tutt’oggi. Il nostro sistema elettorale non garantisce l`elezione del presidente proposto dalla lista o dal partito più votato. I compromessi, per quanto disprezzabili,  per la nomina del presidente del consiglio, quando l’esito delle elezioni è incerto devono essere fatti attraverso la “moderazione” del presidente della Repubblica, tra le forze che compongono la maggioranza del governo.
Pertanto, risulta evidente la difficoltà per un partito di portare avanti un proprio programma elettorale presentato alle elezioni, in quanto necessariamente mediato con il resto della maggioranza. Implicitamente, il movimento politico sa già che tradirà una parte dei suoi elettori. D’altra parte, la certezza di un potere esecutivo sicuro genera fiducia; non può essere effettivamente coeso e forte un governo formato da forze differenti il rischio di crisi extraparlamentari è altissimo; ciò non permette una stabilità del potere politico con ripercussioni sull’ intera società: stabilità che indubbiamente mancando crea problemi anche all’economia dell’intera nazione, a tutti i livelli.
In quel triste autunno del 2011, verificata la consistenza di una maggioranza nelle camere che avrebbe appoggiato l’esecutivo, il Presidente della Repubblica nominò Mario Monti presidente del consiglio affinché risolvesse la crisi in cui si trovava la nazione.

Per quanto riguarda l’Italia, è evidente a tutti come lo Spread, dalla lettera di Draghi fino all’ultimo ben noto caso Savona, ha mutato drasticamente e anzi ha determinato le politiche dei recenti governi. L’indirizzo evidente di tali politiche risulta essere quello di interventi volti a rassicurare la borsa e i suoi investitori, interventi che sono garantiti intervenendo a scapito di tagli a vari settori dell’economia e dei servizi.
Se, effettivamente, i “mercati” hanno un potere di ricatto così enorme nei confronti di un governo, tristemente dobbiamo ammettere che il nostro sistema istituzionale non è interamente libero di esercitare le sue funzioni e di raggiungere gli obbiettivi promessi ai cittadini. Dobbiamo ammettere, in altri termini, che vige il primato dell’Economia sulla Politica.

Si potrebbe dire che, ad oggi, il concetto economico di moral hazard risulti invertito. Non sono più gli speculatori che, osando troppi investimenti ad alto rischio, portano al fallimento una assicurazione, con il consecutivo intervento di una autorità pubblica che agirà liberamente nella misura di tutelare l’interesse pubblico.
Oggi l’assicurazione, per il debito pubblico, sono gli stessi investitori che oltre a voler guadagnare, possono ricattare l’autorità stessa in modo che essa protegga e tuteli le loro sconsideratezze. Se la politica dei governi è così drasticamente condizionata e quindi indirettamente anche il potere legislativo delle camere risulta deviato, non si corre il rischio di trasformare la nostra forma di governo, per quanto riguarda l’ indirizzamento economico, in una finanziocrazia?
Essendo l’economia centrale in tutte le decisioni di governo, rischiamo di perdere il nostro potere di iniziativa, manifestato democraticamente attraverso il nostro sistema parlamentare. Tramite l’attacco “finanziocratico” al potere democratico si realizza l’attacco dell’economia al primato della Politica.

Dopo gli anni ’90, l’estrema libertà concessa ai mercati, ha permesso ai gruppi finanziari, e conseguentemente alla Borsa, di conquistare un potere d’influenza enorme rispetto alla società e, addirittura, alle istituzioni che la rappresentano.
Potere mai contrastato dalle istituzioni, nazionali ed europee. A livello nazionale, le autorità politiche, viziate tanto dall’ideologia liberale quanto dalla pressione europea, hanno abdicato al loro ruolo. A livello europeo, le deboli autorità solo parzialmente “politiche”, rimanendo fedelissime ai dogmi del neoliberismo, si sono astenute il più possibile dall’ intervenire nell’ economia, fidandosi ciecamente di questo sistema malato importato da oltreoceano. Tuttavia proprio dall’ America partì la rovinosa crisi del 2008.

Conseguentemente al 2008 con il salvataggio, da parte degli USA (700 mld. di dollari investiti), delle grandi banche americane, è diventato evidente il fenomeno dei “too big to fail”. Infatti, le ripercussioni causate da un fallimento di tali organismi potrebbero mettere in crisi il bilancio economico di una nazione intera, tanto più se appesantito da un debito pubblico estremamente alto.

La soluzione non è andare contro l’iniziativa privata, ma a tutela della stessa. E qui si ritrova il senso profondo dell’esistenza dell’autorità politica. Autorità politica che ha nel suo essere la missione di moderare e temperare le spinte distruttive di un’economia che per ora la sopravanza, ma che da “potere” economico deve essere ricondotta ad attività.
Spinte distruttive generate dall’economia che, miope e apolide, procede perseguendo  unicamente i suoi interessi economici, senza rendersi conto di stare bruciando le fondamenta del castello al riparo del quale si arricchisce, un castello che molti nemici ambiscono a saccheggiare.

Il senso profondo del rapporto corretto tra autorità politica ed attività economica è motivato anche e soprattutto dall’esigenza di recuperare gli spazi propri e di arrivare a un’autorità politica che, gerarchica, riesca a ricondurre agli alvei naturali un’economia di dimensioni ormai letteralmente continentali.
Di fronte al fallimento della fondazione della società su base utilitaristica, cioè fondata sul dominio dell’Economia, risorge la forma imperiale – cioè l’arroccamento del rapporto di scambio nella praxis politica e la riconferma della Politica quale elemento guida nella società. Una politica che sappia essere predominante sull’economia apolide non può però essere astrattamente “globale” o comunque e svincolata dalla terra, ma anzi deve essere capace di ritrovarvi un ancoraggio preciso.
Una spinta quindi in direzione di recuperare il giusto rapporto gerarchico tra fattori essenziali nel Großraum di riferimento, per come definito da Schmitt, e cioè un coerente ambito della pianificazione, dell’organizzazione e dell’attività umana che nasce da una tendenza generale dell’attuale sviluppo: l’Europa.

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