Abbattere i muri: una frase a due facce

«Abbattere muri, costruire ponti!»

Frase sentita e risentita. È quasi diventata un mantra della sinistra, più o meno buonista, uno slogan alternato ai vari insulti verso chi non la pensa come loro.

Con il suo significato odierno, questa breve frase indica la volontà di costruire un villaggio globale, un calderone di popoli, etnie, razze, culture e idee che si fondono per creare una società unica o, meglio, nessuna società: nessuna società, perché nulla può esistere “senza limiti e confini” (cit.).

LegioneMarciante

Dei ponti che collegano stati e nazioni che in questa distopia non esistono più, dei confini che possono essere superati facilmente per la libera circolazione di esseri umani e merci.

A questi ponti, chi ha ancora un minimo di buonsenso, senza dubbio preferisce i tanto famigerati muri.

I muri, spesso spregevolmente descritti come entità inumane, in realtà sono le pareti di casa nostra, sono i confini della Patria, sono ciò che ci fa dire “noi siamo diversi da voi”. Non solo come contrapposizione, ma come punto d’incontro civile e di proficuo scambio di idee, nel rispetto e nella salvaguardia dell’una e dell’altra parte.

I muri sono ciò che ci protegge dall’esterno, e, proprio per questa funzione di protezione che è loro connaturata, i muri sono anche ciò che protegge l’identità e le tradizioni dal disperdersi nella globalità; i muri sono il mondo solido contro il mondo fluido, sono una visione del mondo verticale che affonda le sue radici nelle alte pareti dei castelli, delle torri e dei bastioni medievali, una visione del mondo che porta in alto, un’idea del mondo di splendore e bellezza.

Tuttavia non è sempre stato così, la frase citata all’inizio del brano ha avuto, nella storia, anche il significato opposto.

L’Impero Romano è sopravvissuto per secoli senza muri di confine e, anzi, facendosi mirabile costruttore di ponti che resistono ancora oggi. Pur con queste premesse accattivanti, le Aquile di Roma non sono assurte al (poco) invidiabile rango di emblema del mondo radical-chic. Questo perché l’Impero ha raggiunto picchi di civiltà, di ordine e di disciplina mai visti nella storia dell’uomo e li ha raggiunti grazie ad un sistema militare eccelso. In questo contesto, dunque, i ponti erano solo e precisamente un’agevolazione al movimento delle legioni, le strade erano un collegamento più veloce con l’Urbe e i muri erano quasi un intralcio nelle conquiste. L’Impero era, insomma, una civiltà vitale e conquistatrice. I pilastri che reggevano i maestosi ponti, spesso ancora agibili, erano pilastri che si innalzavano dalla vittoria terrena all’alto dei cieli.

Dopo la costruzione del Vallo di Adriano, nel II secolo, è cominciato il lento declino che ha portato a quel fatidico 476 d.C.; questo perché un muro non poteva garantire la protezione che un tempo era data dai legionari ai confini. I legionari infatti avrebbero dato la vita per Roma e non avrebbero ceduto di un “passus” (circa un metro) senza vendere cara la pelle, grazie ad un formidabile attaccamento alla Patria, all’Imperatore e a quella sorta di dovere morale nei confronti di Roma che faceva loro dire: «Civis Romanus Sum».
E chi in questo dovere morale, in questa forza romulea delle Legioni, ineguagliata dalle mura di pietra, ravvisasse la risposta data da Agesilao re di Sparta, come ci tramanda Plutarco, davvero sarebbe nella ragione: perché la gloria e la forza d’Europa si è sempre incarnata in moti d’animo simili.

Roma è stata un esempio forse non riproducibile al giorno d’oggi, ma lascia un’eredità importante: i muri non servono se ci sono idee e uomini forti.

Purtroppo viviamo in un’epoca in cui le idee sono deboli e gli uomini ancor di più, ma verrà un giorno in cui la frase “abbattere muri e costruire ponti” tornerà ad indicare solo lo slancio eroico e la bellezza dell’uomo che avanza.

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